CONTRIBUTO di Alberto Tafner (Ass. TRENTINI NEL MONDO)

CONTRIBUTO di Alberto Tafner (Ass. TRENTINI NEL MONDO)

Riportiamo il contributo dell’assente Alberto Tafner (Presidente dell’associazione Trentini nel Mondo):

Devo dire che  quando mi è stato proposto dall’amico Aldo di parlare di “associazionismo come collante tra le persone” mi è sembrata una materia  facilmente argomentabile anche per chi non è esattamente uno specialista nel campo. Poi però, cercando di ragionare un po’ più approfonditamente sull’argomento, sono emerse tutte le complessità e le difficoltà di un mondo che coinvolge circa il 10% degli italiani.

Cercare di capire l’universo dell’associazionismo, significa entrare in una dimensione della vita collettiva che unisce i tratti distintivi caratteristici dell’incorporeità di storie, culture e idee diverse che danno forma e senso valoriale alla vita sociale, ai vari elementi organizzativi ed operativi che determinano la concretezza dell’agire e del fare. Senza dimenticare poi che  il mondo dell’associazionismo non può sussistere se non in  stretto collegamento con un portatore sano di valori etici e solidali come il volontariato.

In una società sempre più ansiosa ed ansiogena, preoccupata più a difendere le proprie posizioni individuali che a scoprire i legami che la uniscono agli altri soggetti della comunità , le iniziative promosse da organizzazioni della società civile a vocazione solidaristica risultano determinanti ed indispensabili per ricucire queste lacerazioni del tessuto sociale, per costruire ponti, mobilitare energie e sensibilità. Per contro però, non appare con altrettanta evidenza quali siano ( o quali si vorrebbe che fossero) le modalità di collaborazione ed i rapporti con gli Enti pubblici e le Istituzioni più in generale.

In particolare per quanto attiene lo sviluppo del collante associativo con gli italiani all’estero , la vera sfida sarebbe quella di capire come gli strumenti di governo dei principali processi legati al territorio possano essere utili, anche per rapportarci con i processi che non hanno origine e destinazione nel nostro territorio, ma semplicemente lo attraversano essendo processi di natura globale.

Sarebbe dunque quanto mai urgente e necessario, in primo luogo,  riuscire ad inquadrare il sistema entro il quale operano e si sviluppano le finalità civiche, solidaristiche, culturali e di utilità sociale delle migliaia di Enti, Compagnie, Gruppi e Formazioni  che compongono il tessuto associazionistico, per poterne poi utilizzare appieno tutto l’enorme potenziale .     

Ma non sembra che ciò stia avvenendo, o comunque non sembra che stia avvenendo con i tempi ed i modi adeguati alle necessità sempre più presenti ed urgenti. Prima ci si accorge che stiamo attraversando un periodo storico di transizione piuttosto contraddittorio (dove tutti camminano di fretta, ma pochi sanno esattamente perché lo fanno e verso dove stanno correndo) e più efficaci potranno essere i provvedimenti da mettere in campo.

Che l’associazionismo – in teoria – costituisca un patrimonio essenziale dell’umanità nessuno può dubitarne, tanto che il Presidente della Repubblica Mattarella  all’apertura delle celebrazioni per il riconoscimento di “ Padova capitale europea del volontariato 2020″, ebbe a dire che “ l’Associazionismo costituisce una struttura portante del nostro modello sociale che assieme al volontariato costituisce un modello per la politica, in quanto si basa su una passione capace di sconfiggere l’indifferenza nei confronti delle difficoltà e delle sofferenze degli altri”.

A dire il vero il presidente della Repubblica ha anche detto che il volontariato ” non è e non deve essere una forma di supplenza a inefficienze e ritardi delle pubbliche istituzioni“, ma quest’ultimo passaggio è suonato più come un auspicio che non come un’affermazione convinta in quanto,  quello che fanno effettivamente numerose associazioni , è proprio una forma di supplenza alle manchevolezze pubbliche, ad una sempre più diffusa disattenzione da parte delle Istituzioni e ad un tentativo senza grandi speranze di liberarsi da una ormai onnipresente e prevaricante  gabbia burocratica capace di frenare qualsiasi iniziativa.

In effetti,  è in un mondo frenato da lacci e lacciuoli d’ogni genere che l’Associazionismo ed il volontariato sono costretti a muoversi e tanto più essi aumentano, quanto più le attività si vanno a sviluppare in campi extraregionali ed internazionali. Se poi a questi ostacoli si viene ad aggiungere un malinteso senso di concorrenzialità tra Associazionismo ed Istituzioni pubbliche e private , tale da ostacolare il riconoscimento dei ruoli ed il rispetto degli ambiti specifici, il percorso può diventare estremamente arduo. Come purtroppo spesso avviene, impedendo il raggiungimento di mete che potrebbero essere condivise e raggiungibili attraverso l’individuazione e lo sviluppo delle rispettive competenze.

Con l’attività di oltre 200 mila Associazioni presenti nel Paese ed un potenziale di circa 10 milioni tra associati e volontari , l’Italia può contare su un  sistema solidale che matura dal basso, non per contrapporsi alle scelte ( o alle non scelte )  della politica , ma semmai per spronarla e per aiutarla ad allargare i confini della solidarietà sociale di cui, oggi in particolare c’è sempre più bisogno.

Dalle ultime rilevazioni ISTAT si evince infatti che i concittadini che si trovano all’estero e sono iscritti all’AIRE superano i 6 milioni, equivalenti all’ 8,8 % della popolazione italiana : questo stando solo ai dati ufficiali che notoriamente rilevano percentuali molto minori di quanto non sia la realtà effettiva.

Ma non basta.

Se oltre ai numeri si vuol parlare poi anche di qualità, vediamo che nel 2018 il 53% di chi se n’è andato era in possesso di un titolo di studio medio-alto e la differenza tra rimpatri ed espatri di laureati sopra i 25 anni si attesta attorno ad una perdita netta di 14 mila connazionali:  questo, oltre a determinare una notevole perdita di figure qualificate per l’Italia, contribuisce a rendere sempre più squilibrato il saldo migratorio dell’Italia, tanto che si potrebbe paragonarlo alla cancellazione in questi ultimi 10 anni, di intere città come Pisa, Brindisi o Mantova .

Oggi però la narrazione popolare è ancora permeata dalla paura dell’invasione da parte dell’immigrato, mentre non è avvertito il pericolo di un progressivo abbandono del Paese da parte di un numero sempre maggiore di concittadini.

Siamo evidentemente di fronte ad una percezione distorta  della realtà che , oltre a causare danni materiali e sociali, favorisce l’insorgere di un diffuso senso di risentimento nei confronti del proprio Paese considerato incapace di affrontare il problema, da parte di chi se ne va.  Gli slogan del tipo “riportiamo a casa i cervelli in fuga”, appaiono tra l’altro concettualmente sbagliati in quanto si dovrebbero anzitutto costruire le premesse affinchè i cervelli non fuggano.

Un sistema capace e coerente , non imprigionato da gabbie ideologiche e da visioni eccessivamente miopi, dovrebbe quindi pensare in primo luogo ad investire in innovazione, a promuovere un ripensamento del sistema che dia  valore ai giovani ed ai lavoratori ed a  intraprendere azioni concrete per rendere nuovamente l’Italia un luogo di opportunità.

In attesa che maturi questa consapevolezza e vengano elaborate strategie governative capaci di andare in questa direzione è però necessario limitare i danni.

L’Associazionismo in questo frangente può costituire un elemento determinante per dare una necessaria mano di collante sul tessuto sociale di questa nuova “realtà migrante”  ed è su questo versante che il supporto del sistema associazionistico, attraverso la sua diffusa conoscenza diretta con le persone e con la sua capillare presenza sul territorio, può essere determinante affinchè non si venga a strappare definitivamente il cordone ombelicale tra il Paese ed i suoi abitanti migliori che se ne vanno.

Evidentemente però le cose non sono così facili come il buonsenso farebbe supporre e tutto sembra viaggiare con il freno tirato. In effetti si passa più tempo a scontrarsi e confrontarsi sulla volontà culturale e ideale del fare, che non sulla possibilità reale e concreta del fare ; si analizzano fino all’esasperazione le pieghe della burocrazia e le convenienze riflesse della politica, più che dotarsi degli strumenti necessari per attuare un corretto rapporto di collaborazione tra pubblico e privato : e tutto questo provoca un accumulo di complicazioni operative che vanno ad assommarsi alle pesantissime difficoltà strutturali già esistenti in natura.

Non ci si può meravigliare dunque se , accanto ad un crescente desiderio popolare di partecipazione e di volontà di collaborare al funzionamento della “macchina sociale” ci si trova a dover scavalcare muri sempre più alti di trascuratezza, quando non addirittura di indifferenza. 

Per questi motivi gran parte delle Associazioni oggi vivono in una sorta di stand by,  appese come sono a  risorse private sempre più aleatorie ed a contributi pubblici sottoposti ad interpretazioni culturali, politiche e sociali sempre più personalistiche e fluide.    

Nel frattempo però il mondo corre sempre più veloce ed i giovani che cercano di inseguirlo stanno partendo – paradossalmente – proprio dalle regioni che rappresentano la parte più dinamica del paese dal punto di vista macroeconomico, come la Lombardia, il Veneto ed il Trentino Alto Adige.

Intervenendo  alla presentazione del rapporto della Fondazione Nordest , il rettore dell’Università di Trento, Paolo Collini, ha recentemente sottolineato come questa tendenza sia un ”controsenso solo apparente perché la fuga di questi nostri talenti, giovani qualificati che si sono  formati nelle università migliori d’Italia  non è generata dal bisogno, ma  piuttosto dal desiderio di trovare opportunità lavorative e di carriera migliori”.      In sostanza oggi si assiste ad una ripresa dell’emigrazione, soprattutto giovanile, richiamata da quei Paesi che offrono possibilità di vivere e lavorare  in ambienti dove la valorizzazione del merito e del capitale umano si traduce in vantaggi sia economici che sociali : cosa che evidentemente in Italia non si trova ancora.

Ciò nonostante si continua a privilegiare una percezione distorta di quanto sta effettivamente avvenendo, concentrando la totale attenzione   nel campo dell’immigrazione, anziché prendere coscienza dei risultati portati dagli Istituti di Ricerca, che indicano una  chiara inversione di tendenza caratterizzata da un costante e progressivo abbandono del Paese da parte dei giovani italiani.

Ed è in questa realtà che il ruolo e le funzioni delle Associazioni si fanno più evidenti e possono esprimere tutta la loro capacità di svolgere  l’azione di collante.

Le iniziative promosse da organizzazioni della società civile a vocazione solidaristica – ha scritto recentemente Maurizio Ambrosini docente di sociologia dei processi migratori presso l’università di Milano –  è di “fondamentale importanza per ricucire le lacerazioni del tessuto sociale, costruire ponti fra inclusi ed esclusi, mobilitare energie e sensibilità verso obiettivi di lotta alla povertà e all’emarginazione. In particolare le organizzazioni di solidarietà  si collocano in una terra di mezzo e si fanno portatrici  di un’idea di giustizia e di diritti di cittadinanza più alta di quella che oggi prevale nell’opinione pubblica e nello scenario politico”.  

Se oggi le leggi e le politiche generalmente tendono a restringere le provvidenze, a selezionare i beneficiari ed a produrre in sostanza meccanismi di esclusione, le varie esperienze di solidarietà promosse dai cittadini attraverso l’Associazionismo ed il volontariato si sforzano invece di allargare i confini dell’appartenenza, di sperimentare sul campo nuovi approcci orientati all’attivazione delle risorse dei beneficiari, producendo in tal modo coesione sociale e maggiore sicurezza per tutti: in sostanza svolgendo proprio “ un’azione di collante tra le persone  ed i territori”.

A.T.

comitato11ottobre

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